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Il rischio alimentare 

Il rischio alimentare è la funzione delle probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo. Il pericolo in questione è costituito da un agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime, o dalla condizione in cui un alimento o un mangime si trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute. 

(Articolo 3, numeri 9 e 14, del regolamento (CE) n. 178/2002)

 

Quindi in qualche circostanza gli alimenti possono diventare fonte di pericolo per la salute umana perché contengono microrganismi patogeni o perché in essi si sono accumulati residui di composti chimici in grado di nuocere alla salute umana. Tutto ciò ha portato a sviluppare, nel corso degli anni ’50, un complesso sistema di controllo della qualità igienica e commerciale degli alimenti. I controlli sanitari erano imposti dai singoli stati nel settore dell’industria produttiva primaria, sulle industrie alimentari e sull’import-export di alimenti. I controlli erano e sono curati dai servizi sanitari di Stato che impiegano medici e veterinari con il compito di tenere sotto controllo la qualità igienica delle produzioni alimentari all’inizio della catena produttiva. Andando avanti nel tempo questi controlli hanno riscontrato sempre più difficoltà e per questo, negli anni ’90, si sono formulati dei sistemi di controllo basati sull’applicazione di “procedure” aziendali interne, finalizzate a mantenere sotto costante controllo la qualità igienica delle produzioni. Inizia l’era delle certificazioni ISO, di processo o di prodotto. Verso la fine degli anni ’90 invece, si è arrivati a capire che non è possibile eliminare dal processo produttivo tutti i possibili pericoli che possono concretizzarsi nelle varie fasi di produzione e distribuzione di alimenti. Era necessario prevedere quando e come i singoli pericoli potrebbero concretizzarsi, quali potrebbero essere le conseguenze sulla salute del consumatore e quali ricadute potrebbero avere questi pericoli sulla salute umana e sui costi gestionali della salute pubblica. Il fatto di essere riusciti a individuare i reali pericoli che il consumatore può correre comporta l’obbligo per chi gestisce e coordina la società di contrastare la comparsa di queste pericoli e di scegliere le strategie più opportuni per affrontarli. Al momento è quindi diventato indispensabile applicare a vario livello i concetti della risk analysis. 

L’analisi del rischio identifica una tecnica, scientificamente fondata, che utilizza dati scientifici e calcoli statistici per produrre stime prevedibili di comparsa di pericoli specifici in determinati scenari. Questo è un processo costituito da tre fasi: 

 

  1. Valutazione del rischio (risk assesstment): descrive qualitativamente e quantitativamente la probabilità e l’impatto potenziale di alcuni rischi. 

 

  1. Gestione del rischio (risk management): formula decisioni o propone alternative e opzioni di controllo.

 

  1. Comunicazione del rischio (risk communication): comunica a tutti i soggetti interessati, consumatori compresi, i risultati della valutazione del rischio e le decisioni che si suggerisce di prendere. 

 

Le tre componenti dell’analisi del rischio sono tra loro interconnesse e forniscono una metodologia sistematica per definire provvedimenti, o altri interventi a tutela della salute, in modo efficace, proporzionato e mirato. L’analisi del rischio facilità le decisioni sulla gestione del rischio e la sua comunicazione. 

Il rischio è la probabilità che un evento avverso si verifichi. Può essere espresso come numero probabilistico, ovvero una percentuale. La valutazione del rischio è il processo basato su elementi scientifici a disposizione, svolto in modo indipendente, obiettivo e trasparente. È costituito da quattro fasi:

 

  • Individuazione del pericolo (hazard identification): il pericolo è una proprietà intrinseca di un agente che comporta un potenziale di effetti avversi e nocivi. In questa fase si indentifica un agente capace di indurre un effetto nocivo sul benessere dell’uomo. Si mira a dimostrare la pericolosità per la salute umana di un agente microbico, un composto chimico o un corpo estraneo. Nella sua semplicità questa fase è veramente importante perché da essa dipende tutto lo sviluppo della valutazione del rischio. Infatti se un potenziale pericolo individuato non si rivelasse tale, non sarebbe necessario valutarne il rischio e fare una risk analysis. Sono molti, i microrganismi patogeni e le tossine che possono costituire un potenziale pericolo con gli alimenti, ma le malattie alimentari si manifestano solo in casi specifici. Bisogna quindi selezionare attentamente i pericoli più rilevanti su cui focalizzare l’attenzione. Questa procedura è per lo più qualitativa, basata su conoscenze di esperti, dati scientifici e database a disposizione. È molto importante ricordarsi però che, a differenza dei pericoli chimici, quelli microbiologici sono soggetti a variazioni anche rapide, in base al comportamento delle singole specie microbiche e alla “dinamicità di popolazione” dei microrganismi patogeni. 

 

  • Caratterizzazione del pericolo (hazard characterization): calcolo della dimensione di esposizione al pericolo (grado di presenza del pericolo nell’alimento, quantità di alimento consumato). In questa fase vi è quindi una valutazione quantitativa e qualitativa della natura degli effetti sfavorevoli associati a un agente chimico, fisico o biologico che può essere presente nell’alimento. Per fare ciò si possono effettuare prove sperimentali su volontari, estrapolazione da test su animali o dati relativi agli episodi di malattia alimentari sinora verificatesi. Ciascuno di questi metodi prospetta vantaggi e svantaggi, ma tutti forniscono informazioni utili. L’approccio migliore è comunque quello di combinare insieme i tre campi di dati. 

 

  • Valutazione dell’esposizione al pericolo (exposure assessment): relazione tra unità di esposizione al pericolo ed unità di risposta (rapporto dose-risposta, potere patogeno o tossicologico dell’agente, sensibilità dell’ospite). In questa fase vi è quindi la valutazione qualitativa e quantitativa della probabile assunzione del patogeno con l’alimento; L’esposizione infatti è la connessione tra due parametri: il rischio, la probabilità che un evento sfavorevole si verifichi, e il pericolo, un evento che può costituire una minaccia. Si riferisce ad una misurazione quantitativa in quanto il pericolo presente in una certa quantità deve essere tale da comportare un danno. In campo alimentare la via di esposizione essenziale è quella digestiva.  Per questo vi deve essere una correlazione tra la concentrazione di agenti chimici, fisici e biologici presenti nell’alimento, la quantità di alimenti ingeriti, la durata dell’ingestione di alimenti contaminati e la numerosità dei soggetti esposti. 

La carica microbica di un qualsiasi alimento può crescere o diminuire in base a una serie di fattori intrinseci all’alimento (pH, potenziale di ossido-riduzione, presenza nel substrato di alimenti e composti ad azione antimicrobica naturale), estrinseci (temperatura di conservazione e umidità ambientale), o di processo (trattamenti termici, processi di fermentazione microbica, aggiunta di sale e additivi alimentari).  Per valutare e prevedere l’andamento di queste flore microbiche nelle varie derrate alimentari, in questi ultimi anni sono stai messi a punto dei softwares informatici che, su base statistica, simulano quanto “dovrebbe” avvenire in realtà. 

Uno dei maggiori problemi dell’exposure assessment è la mancanza di dati certi, sufficienti e accurati. La determinazione delle cariche microbiche negli alimenti può risentire della sensibilità della tecnica adottata. A volte in molti casi è praticamente impossibile, perché le cariche sono molto basse, inferiori alla soglia di sensibilità della metodica o la frequenza è così bassa che il campionamento non è sufficiente. Quindi, per molti dei principali batteri patogeni (Salmonella, Listeria monocytogenes, Escherichia coli…), si effettua esclusivamente un esame qualitativo, presenza o assenza in una determinata quantità di alimento, dato che non è possibile effettuare un esame quantitativo, come si fa per esempio con i Coliformi o con la carica microbica totale. 

 

  • Caratterizzazione del rischio (risk characterization): si descrive la natura e l’incertezza del rischio, considerando le incertezze di analisi. Si fa un’elaborazione di una stima quantitativa e qualitativa della probabilità di comparsa e della gravità di effetti dannosi per la salute ed è basata sull’integrazione dei dati ottenuti con lo sviluppo dei primi tre punti. 

 

Il rischio può essere espresso in termini generali come: 

 

Rischio = Pericolosità x Esposizione

 

I risultati della valutazione del rischio costituiscono a base scientifica per la formulazione e la revisione delle norme sulla sicurezza alimentare nonché per il controllo e la sorveglianza. Indipendentemente dal luogo e da tempo in cui si svolge, dalle persone che la effettuano e dalle metodologie che vengono utilizzate, la valutazione del rischio deve portare ad un risultato ultimo: definire chi, cosa e come occorre proteggere da un pericolo. 

 

La valutazione del rischio e, più in generale, l’analisi del rischio implicano una comparazione tra diversi approcci alternativi per gestire o controllare un pericolo e, in ultima analisi, prevedono che si adottino decisioni sulla strategia più appropriata. Per fare ciò è necessario sviluppare dei modelli usando tecniche di modellazione tramite le quali si riesce a simulare le conseguenze associate alle diverse decisioni. L’analista è chiamato quindi a sviluppare uno o più modelli che rappresentino i rapporti di tipo quantitativo esistenti tra le diverse azioni e le loro conseguenze. 


 

Rischio alimentare: latte

 

La consapevolezza che il latte rappresenti un possibile veicolo di agenti effettivi, anche molto pericolosi, è nota da diversi decenni. La conoscenza di questi pericoli ha permesso di mettere in atto corrette e moderne pratiche igieniche, essenziali a ridurre la contaminazione del latte crudo e per prevenire e rallentare la crescita dei batteri. Il latte crudo infatti esprime il massimo del proprio potenziale microbiologico, fornendo le migliori condizioni dello sviluppo microbico per le principali flore tipiche o contaminanti. Le garanzie sanitarie richieste nella produzione industriale hanno fatto si che la prassi del trattamento termico del latte oppure la stagionatura dei formaggi, diventassero pratiche consolidate per il deperimento della flora autoctona che caratterizza il prodotto. Sebbene le condizioni igienico sanitarie nella produzione e nella lavorazione del latte siano notevolmente migliorate negli ultimi 50 anni, alcuni pericoli microbiologici costituiscono ancora un pericolo per i consumatori. Quali sono i principali pericoli? 

 

  • Campylobacter: questo è un microrganismo che può essere trasmesso all’uomo per via indiretta, ovvero attraverso il consumo di alimenti di origine animale crudi oppure attraverso il consumo di acqua non sottoposta a clorazione. L’uomo presenta un’infezione auto-limitante che si risolve in pochi giorni anche se a volte possono essere presenti delle complicazioni successive all’infezione. 

 

  • Salmonella: le infezioni da salmonella rappresentano una delle principali cause di malattia alimentare. Questa però è poco frequente nel latte non pastorizzato. I sintoni nell’uomo si manifestano qualche ora dopo l’ingestione e si possono protrarre per addirittura una settimana. Generalmente si guarisce senza ospedalizzazione anche se in alcuni casi si possono riscontrare processi infiammatori più gravi. 

 

  • Escherichia coli: questa costituisce un enorme problema di sanità pubblica perché può causare alcune patologie estremamente gravi. 

 

  • Listeria monocytogenes: è stato dimostrato che ogni prodotto alimentare fresco di origine animale o vegetale possa essere contaminato da concentrazioni variabili di L. monocytogenes. Tollera le basse temperature, per questo motivo la temperatura di refrigerazione a cui vengono conservati gli alimenti non ne contrasta la riproduzione, rendendone indispensabile il controllo durante la produzione degli alimenti. 

 

  • Staphylococcus aureus: la capacità di adattarsi e di sopravvivere in habitat diversi, tra cui numerosi alimenti, lo rende una delle principali cause di malattia a trasmissione alimentare nel mondo. Il latte e i suoi derivati sono particolarmente a rischio. 

 

Quindi, abbiamo visto come il consumo del latte e prodotti freschi a latte crudo rappresentino ancora oggi un rischio per il consumatore. È fondamentale ai fini della prevenzione la comunicazione del rischio: ognuno di noi deve conoscere i pericoli a cui va incontro e deve essere preparato a gestire il rischio. Nel latte crudo sono presenti diverse popolazioni microbiche che entrano in competizione con la flora microbica patogena sottraendo nutrienti dal substrato e alterandone le condizioni di sviluppo. Quindi che si tratti di latte crudo o di latte trattato termicamente, entrambi i prodotti vanno gestiti correttamente dal punto di vista igienico sanitario, dalla stalla fino al bicchiere o piatto del consumatore. 

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“La valutazione del rischio  nella catena alimentare”- E.Bergamo , S. Moriconi - Direzione Generale degli Organi Collegiali per la Tutela della salute Ufficio II:  Rischio Chimico - Fisico e Biologic

“La risk analysis nel settore alimentare” - di Valerio Giaccone, Maurizio Ferri, Carlo D’Intino, Claudio Milandri, Rodingo Usberti - CONIGLICOLTURA 4 - 2005 -Dossier Obiettivo risk analysis

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