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Bioplastiche

COSA SONO E COME SI PRODUCONO: DEFINIZIONE E PECULIARITA'

La bioplastica è un tipo di plastica che può essere biodegradabile, a base biologica o possedere entrambe le caratteristiche. Più precisamente:

  • può derivare (parzialmente o interamente) da biomassa e non essere biodegradabile (per esempio: bio-PE, bio-PP, bio-PET); 

  • può derivare interamente da materie prime non rinnovabili ed essere biodegradabile (per esempio: PBAT, PCL, PBS)

  • può derivare (parzialmente o interamente) da biomassa ed essere biodegradabile (per esempio: PLA, PHA, PHB, plastiche a base di amido); 

Assobioplastiche, invece, non considera le plastiche derivate da biomassa che non sono biodegradabili e compostabili come bioplastiche, le indica piuttosto con il nome “plastiche vegetali”. 

 

Esempi di bioplastiche

Alcuni esempi di bioplastiche sono:

  • bioplastiche ottenute da amido di mais, grano, tapioca e/o patate;

  • bioplastiche biodegradabili;

  • Poli (acido lattico), più noto come acido polilattico (PLA), ottenuto dagli zuccheri;

  • Poliidrossialcanoati (PHA);

  • Poliidrossibutirrato (PHB);

  • Poliidrossivaleriato (PHV);

  • Poiidrossiesanoato (PHH);

  • Polibutilene succinato (PSB);

  • bioplastiche a base di cellulosa: Biograde;

  • Bioplastiche derivanti dalla Canapa.

 

Vantaggi

Molte delle bioplastiche, a differenza della plastica tradizionale che necessita di mille anni per essere smaltita dall’ambiente, sono completamente biodegradabili e scompaiono dopo un paio di mesi. Oltretutto le bioplastiche biodegradabili non rendono sterile il terreno, anzi, alcuni tipi di queste consentono di ricavare concime fertilizzante dopo l’uso. Uno fra gli esempi più significativi è l’utilizzo della bioplastica in agricoltura per la pacciamatura, il metodo col quale si ricopre il terreno con uno strato di materiale per impedire la crescita delle erbacce. Il biotelo risolve lo smaltimento dei rifiuti perché la pellicola viene lasciata a decomporsi in modo naturale. I rifiuti bio, inoltre, possono essere depositati in una discarica, vista la loro rapida decomposizione; in questo modo è possibile risparmiare tempo, denaro e attrezzature. Infine i contenitori alimentari fatti con le bioplastiche, col trascorrere del tempo non rilasciano sostanze nocive che possono essere assorbite dai cibi contenuti in essi.

 

Critiche

Le bioplastiche possono ridurre la disponibilità e, di conseguenza, causare un aumento del prezzo dei prodotti agricoli destinati al consumo alimentare, se prodotte a partire da colture come il mais. La terra necessaria per coltivare la materia prima per le bioplastiche attualmente prodotte in tutto il mondo ammonta a circa lo 0,02% della superficie coltivabile. Se invece basassimo tutta la produzione mondiale attuale di plastiche fossili sulla biomassa come materia prima, la percentuale salirebbe al 5%. La direzione però verso cui l’UE vuole tendere è quella dell’economia circolare, ovvero di utilizzare piuttosto materie prime alternative, provenienti da rifiuti e flussi secondari dell'agricoltura e della produzione alimentare; in questo modo si ridurrebbero gli oneri di gestione dei rifiuti e i costi logistici di deposito.

Le bioplastiche e il siero di latte

Il siero di latte è la parte liquida del latte che si separa dalla cagliata durante la coagulazione acida o enzimatica ed è un importante sottoprodotto dell’industria casearia. Esso rappresenta l'80/90% del volume di latte trasformato e contiene tra l’80 e il 90% di carboidrati, più del 10% di proteine e 1-2% di grassi. Stime OCSE e FAO per il 2008, riferiscono di una produzione di siero dell’ordine di 1,60·10^8 tonnellate con un incremento annuo dell’1-2%. 

La maggior parte del siero veniva in passato scartato come rifiuto negli ambienti circostanti, causando drammatici problemi di inquinamento, infatti causano un aumento vertiginoso dei valori di COD e BOD nei bacini acquiferi se scaricati in mare; se, invece, questi vengono scaricati nel terreno causano una modifica alla struttura chimica e fisica dello stesso, diminuendo la resa delle colture; inoltre possono penetrare il suolo e raggiungere le falde freatiche causando danni ancora più ingenti. L’unica alternativa sostenibile è quella di utilizzare il siero come una vera e propria risorsa, infatti  può essere riutilizzato per la produzione di dolci, supplementi nutrizionali nelle formulazioni di body building, bevande, additivi alimentari, alimenti per l'infanzia... Per fare questo è necessario estrarre i principi nutritivi dal siero. Il primo passo per fare ciò è la separazione della frazione proteica da quella zuccherina. Il latte di partenza è intero e dapprima c’è rimozione, con mezzi meccanici, della sua parte grassa; quindi il siero scremato dolce è sottoposto a una fase di concentrazione, eliminando l’80% del contenuto d’acqua. Il concentrato viene separato, mediante ultrafiltrazione, in siero retentato (frazione proteica con residui di lattosio) e siero permeato (frazione carboidratica).Il siero retentato è costituito da lattoferrina, lattoferricina, α-lattoalbumina, β-lattoglobulina. Vengono impiegate come integratori alimentari o di mangimi, per applicazioni farmaceutiche oppure utilizzate come fonte di azoto. Invece il siero permeato contiene circa l’80% del lattosio. La possibilità di impiegare il permeato come fonte di carbonio per la crescita microbica dipende quindi dalla capacità del ceppo che sarà utilizzato per metabolizzare questo disaccaride, costituito da glucosio e galattosio tenuti assieme da uno specifico legame che richiede un altrettanto specifico enzima, la β-galattosidasi. Inoltre occorrerà verificare che la specie microbica selezionata sia anche in grado di utilizzare entrambi gli zuccheri semplici che si liberano. A tutt’oggi sono principalmente utilizzate idrolisi enzimatiche facendo uso di enzimi commerciali, tuttavia questa opzione risulta essere molto costosa. La possibile alternativa ricade nella ricerca di microrganismi adeguatamente equipaggiati di adatti corredi enzimatici o nel modificare geneticamente gli stessi microrganismi. Tuttavia il mercato di questa tipologia di prodotti derivati dal siero non è capace di assorbire l’enorme quantità di siero prodotta dai caseifici costantemente, pertanto questa sostanza può essere impiegata anche per la produzione di bioplastiche, le quali vengono poi impiegate nella produzione di sacchetti, imballaggi, superassorbenti, pneumatici, protesi biomedicali, biocompositi, vasetti per piante, supporti per il lento rilascio di feromoni o fertilizzanti, teli per pacciamatura o solarizzazione. In tal proposito un gruppo di sperimentazione finanziato dal MIPAAF e composto dalla Legacoop Agroalimentare, il Cra, il Politecnico di Torino, e l'Università di Bologna ha svolto una ricerca a riguardo: ha utilizzato due impianti sperimentali dove il siero di latte è stato utilizzato, insieme a reflui zootecnici, per la produzione di biogas e bioplastiche (in percentuali uguali del 50 e 50 %). Per quanto riguarda le bioplastiche con due litri di siero di latte è stato possibile ottenere un vasetto di plastica per yogurt; mentre nel caso dei biogas i risultati non sono stati altrettanto lusinghieri.

 

Produzione di PHA

La produzione di PHA può avvenire  in diversi modi. 

Il primo metodo prevede vari passaggi, fra cui la fermentazione (intesa come fase di crescita seguita da un accumulo), la separazione della biomassa dal brodo di coltura, l'essiccazione della biomassa, l’estrazione del biopolimero, l'essiccazione del medesimo e l’imballaggio finale. La produzione industriale può prevedere un processo in continuo oppure in batch. La scelta dipende dal ceppo microbico, dalla sua cinetica di crescita e dalla fase del metabolismo in cui accumula il polimero. 

Il secondo metodo di produzione del biopolimero PHA, invece, è attraverso il recupero dei granuli contenuti nelle cellule batteriche. Il procedimento si apre con la lisi cellulare, seguita dalla separazione del biopolimero dal resto delle componenti cellulari. L’estrazione e la raffinazione del prodotto, tuttavia, necessitano di solventi pericolosi per uomo e ambiente, infatti per l’estrazione diretta di PHA, la quale avviene a temperatura ambiente, impiega solventi alogenati come cloroformio, diclorometano o 1,2-dicloroetano, e aggiungendo un anti-solvente (come etanolo, metanolo o acetone) la solubilità del polimero viene ridotta causando la precipitazione dei granuli. Pertanto sono in studio sistemi di lisi chimica e/o biologica alternativi che hanno lo scopo  di rappresentare un’alternativa ecologica ai solventi sopra citati. Tali metodologie vengono adottate e calibrate a seconda del ceppo microbico utilizzato e al grado di purezza del prodotto richiesto.

Una di queste alternative può essere il sistema a tre componenti costituito da acqua-cloroformio-etanolo, che si presentano in due fasi. La fase più bassa (95% CHCl3, residui di etanolo e acqua) è utilizzata per l'estrazione di PHA, mentre la fase superiore contiene solo quantità trascurabili di solventi alogenati.

Un metodo di lisi enzimatica che rappresenta una valida alternativa, poi, è stato sviluppato da Imperial Chemical Industries per recuperare PHB da C.necator utilizzando delle proteasi. Il processo prevede il trattamento termico e lisi enzimatica della biomassa cellulare seguito da lavaggio con tensioattivo anionico per sciogliere le sostanze residuali dal polimero. I costi degli enzimi sono elevati ma è possibile ottenere una maggiore purezza del prodotto.

Un’ulteriore possibilità è l’estrazione utilizzando un mezzo ipotonico. Questa avviene con l’immersione in acqua distillata (mezzo ipotonico) e causa la fragilità della parete cellulare, la cellula si rigonfia e la parete si danneggia liberando i vari componenti nel mezzo di sospensione. I granuli di PHA a causa delle loro notevoli dimensioni e densità sono recuperabili, dopo centrifugazione, sedimentazione o filtrazione. Un ulteriore lavaggio con opportuni detergenti porta a un maggior grado di purezza del polimero. La rimanente massa cellulare costituita da proteine, lipidi, acidi nucleici e polisaccaridi, può essere reimpiegata come fonte di carbonio e azoto per successive colture microbiche, può essere usato in impianti di produzione di biogas o utilizzato come "fertilizzante verde" in agricoltura. Segue poi un ulteriore lavaggio, flocculazione ed essiccazione: il polimero viene recuperato sotto forma di polvere bianca la quale viene fusa, estrusa e convertita in scaglie secondo la tecnologia tradizionale dei polimeri di sintesi petrolchimica.

Un’ulteriore metodo di produzione di PHA è attraverso la conversione del lattosio, il quale diventa acido lattico per poi arrivare a PHA.

Un quarto ed ultimo metodo è quello della produzione di PHA da parte di alcuni microrganismi i quali possono essere coltivati nei terreni ricavati dal siero di latte, in particolare a partire dal permeato. Per rendere questo processo ancora più redditizio poi è possibile modificare geneticamente i microrganismi in modo che presentino gli enzimi adatti a metabolizzare il disaccaride sopra menzionato.

 

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Bioplastica

http://www.fotovoltaicosulweb.it/guida/bioplastica-dal-siero-di-latte.html#:~:text=In%20quest'ambito%20si%20inserisce,litri%20di%20siero%20di%20latte.

https://www.tuttogreen.it/bioplastica-che-cose-e-che-prospettive-offre/

 

http://www.plastice.org/ 

“Bioplastiche, opportunità per il futuro”. Pubblicazione realizzata nell'ambito del progetto PLASTiCE supportato dal FESR

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